cartiera binda
Un ramo delle cartiere Binda nasce nel 1774 a Vaprio D’Adda tra il Naviglio
Martesana e il fiume Adda. Quest’area offriva le
migliori garanzie per l'abbondante presenza dell'acqua, elemento indispensabile
alla produzione di carta. "La
cartiera meccanica di Vaprio cresce d'attività, con due macchine fabbricando
carta senza fine...": già nel 1857 Cesare Cantù così descriveva
l'opificio, fondato dal conte Paolo Monti Melzi, passato nell'Ottocento alla
ditta Maglia & Pigna ed entrato nel 1868 a far parte del gruppo Ambrogio
Binda, proprietario della celebre cartiera di Conca Fallata a Milano. La sua
storia è accompagnata dal nome di diversi proprietari e direttori che,
trasformando gli impianti, modernizzando le strutture, impostando con nuovi
criteri le strategie produttive, seppur tra alti e bassi hanno permesso alla
cartiera di rimanere attiva fino all'anno 2009. Lo stabilimento, prima della
chiusura, faceva capo al gruppo Munksjo Paper Decor Italia, uno dei primi
gruppi italiani del settore cartario, la cui sede centrale è a Besozzo, in
provincia di Varese.
Una delle
esigenze fondamentali dell’uomo, fin dall’epoca preistorica, è quella di poter
fermare le immagini, le parole ed i pensieri e poterli condividere senza
limitazioni di tempo o di distanza.
Ma
dove fermare disegni, geroglifici e scrittura?
La prima
soluzione la trovarono i Caldei della Mesopotamia, nell’attuale Iraq.
Fabbricarono delle tavolette d’argilla e, mentre erano ancora molli, vi
incidevano dei segni a forma di cuneo, di modo che, una volta cotte,
rimanessero inalterate nel tempo. Gli
antichi egizi, secoli dopo svilupparono un’altra tecnica, forse più geniale. Si
accorsero l’interno di una particolare pianta palustre, il Papiro, era composto
da strisce di materiale morbido, liscio e resistente, sul quale, con inchiostri
vegetali e minerali, si potevano fare piccoli disegni o segni grafici. Le
incollarono insieme e nacquero così i fogli. Il
procedimento era lungo e costoso e l’offerta di prodotto scarsa, ma era
comunque un notevole passo avanti. E’ poco noto che, nell’America dei Maya un
procedimento analogo utilizzava una pianta di nome Amate. Questa tecnica ebbe
grandissima fortuna, tanto che ancora oggi, nella maggioranza delle lingue il
supporto alla scrittura ne porta ancora il nome (in inglese paper, in francese
papier, in tedesco papier, in russo papiri, in spagnolo papel, ecc.) e si
diffuse in tutto il mondo mediterraneo. Questo
progenitore della carta ha permesso la diffusione nel mondo classico del
pensiero greco romano, della letteratura, filosofia storia e matematica. Altre
tecniche ebbero meno fortuna, per il loro elevato costo, come la pergamena che
consiste in una pelle di pecora conciata o le tavolette metalliche incerate
usate dai romani. In Cina, nell’anno 105 d.c., un
importante personaggio della corte imperiale Ts’ai Lun, fece un’acuta osservazione
ed ebbe la giusta intuizione per risolvere il problema. Seduto sui bordi di un ruscello guardava una donna che
faceva il bucato. Qualche metro più a valle, in un’ansa, sulla superficie si
era formato un sottile strato di fibre perse dai panni. Provò a toccarlo ma
subito il movimento dell’acqua disunì le fibre, poi pensò di sollevarlo con una
reticella molto stretta e la fibre rimasero unite. Fece seccare al sole questo
strato e ne venne fuori un piccolo foglio, liscio, morbido, resistente e candido. Perché accadeva? Le piante sono composte di vari elementi,
uno dei quali, la cellulosa, è composto da fibre morbide, elastiche e
resistenti. Attraverso il processo di filatura e di tessitura queste fibre
(cotone, lino, canapa, juta, ecc) diventano tessuti ma, quando sono troppo
corte per essere filate, hanno un’altra caratteristica, cioè possono feltrare
naturalmente agganciandosi l’una all’altra. Bastava accelerare il processo di
sfilacciamento dei tessuti con dei mortai per ridurli ad una poltiglia e sollevarli
con delle reticelle. L’imperatore Ho Ti, felice dell’invenzione che
consentiva di produrre fogli di carta (come noi la chiamiamo; dal latino charta
che significava foglio) in grande quantità ed a costi molti contenuti rispetto
al papiro egiziano, lo ricoprì di onori e volle che la tecnica fosse insegnata
a tanti artigiani, ma che fosse mantenuto il segreto e non uscisse dai confini
della Cina, pena, come usava allora, la morte. Nei paesi vicini furono tentate
delle imitazioni, alcune delle quali sopravvivono ancora oggi. In Thailandia
usando l’interno della corteccia del gelso, costituito di cellulosa pura e in
Tibet con un arbusto locale, il Lokta, mentre il Giappone si usarono
pianticelle locali. Nel 751 d.c., al tempo dell’espansione araba dopo la morte
di Maometto, i musulmani strapparono ai cinesi le città dell’Asia centrale.
Sbalorditi dalla tecnica la misero subito in pratica diffondendola nella parte
del mondo che dominavano e che comprendeva, oltre al Medio Oriente, il nord
Africa, la Sicilia e la Spagna. Cinque secoli dopo i mercanti
italiani che commerciavano con gli arabi, riuscirono ad apprendere i segreti di
lavorazione attraverso Costantinopoli e li portarono in Italia, ad Amalfi ed a
Fabriano. La tecnica nei secoli era cambiata. Uno di questi è la
filigrana, che è stata inventata proprio a Fabriano. Se sulla reticella che
solleva lo stato di fibre si cuce un pezzetto di metallo, tutti i fogli
prodotti ne verranno “marcati”, sempre uguali e nella stessa posizione. Ciò
perché nel punto dove è cucito il pezzo di metallo si deposita meno pasta, e
quindi la carta è più sottile e trasparente. La filigrana, nata come marchio
che attestava la provenienza e la qualità del foglio, col tempo divenne un
decoro ornamentale e un sigillo di garanzia, che potete vedere ancora oggi
nelle banconote e nelle carte valori che sono tutte filigranate per impedirne
la contraffazione. Il segreto della tecnica delle filigrane veniva gelosamente
custodito dai fabrianesi e nessun artigiano poteva espatriare, pena, manco a
dirlo, la morte. Il monopolio italiano durò alcuni
secoli, poi nel ‘400 le cartiere si diffusero in tutta Europa fino nei paesi
scandinavi ed in Russia e passarono l’oceano
limitandosi
però al Nord America. Venivano sempre costruite in
vicinanza di corsi d’acqua per due ragioni: Innanzitutto perché per ogni
chilogrammo di carte ne sono necessari dai 50 ai 150 litri e poi perché l’unica
forza motrice che azionasse i pesanti magli sfilacciatori era quella idraulica.
Spesso erano vicino ai porti, dove più abbondante era la disponibilità degli
stracci di cotone, lino ecc, e dei cordami usati di canapa e juta, materie
prime allora insostituibili. Alla fine del ‘600 gli
olandesi, nonostante la loro terra pullulasse di mulini, svilupparono un’altra
invenzione. Al posto dei magli pesanti e poco funzionali, inventarono una
macchina che da loro prese il nome, il raffinatore “olandese”. Questa macchina
è costituita da una vasca oblunga parzialmente divisa a metà da un setto. Su
uno dei lati è montata una ruota con decine di lame e sotto di essa, sul fondo
della vasca, ci sono altre lame taglienti dette “platina”. Ruotando su se
stessa ed avvicinandosi alla platina la ruota ha l’effetto forbice sulle fibre
sospese nell’acqua che circolano nella raffinatrice spinte dal moto della
ruota, accorciandosi a poco a poco ad ogni passaggio. La forza motrice allora
era data da una ruota da mulino, come nei magli, ed oggi è sostituita da un
motore elettrico. Nel 1798, ad opera di L.N. Robert, fu costruita la prima macchina
da carta, che rivoluzionò completamente il sistema di fabbricazione, perché
produceva una striscia continua di carta prodotta da un tamburo ricoperto da
una rete metallica che ruotava in una vasca dove era in sospensione le fibre
vegetali tagliuzzate. Il foglio continuo passava poi tra dei cilindri caldi per
essere pressato ed asciugato. La diffusione di queste macchine fu lenta, in
Italia nel 1850 ne esistevano solo due, ma inesorabilmente soppiantò, per
l’indubbio abbassamento dei costi, la carta a mano tradizionale. Poi nell’800 fu scoperto un procedimento
chimico che permetteva di estrarre la cellulosa direttamente dal legno degli
alberi e la produzione fu ulteriormente incrementata. Oggi
la carta è prodotta, in tutto il mondo, da immense macchine continue, lunghe
centinaia di metri e velocissime. Le più moderne creano un foglio largo 10
metri alla velocità di 2000 metri al minuto! Ma questa è un’altra storia.
FONTI:
Navigli.it http://www.cartaamanonelleande.org/it/paper-and-history
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