sabato 8 giugno 2013

cartiera binda


Un ramo delle cartiere Binda nasce nel 1774 a Vaprio D’Adda tra il Naviglio Martesana e il fiume Adda.                                                                                     Quest’area offriva le migliori garanzie per l'abbondante presenza dell'acqua, elemento indispensabile alla produzione di carta.            "La cartiera meccanica di Vaprio cresce d'attività, con due macchine fabbricando carta senza fine...": già nel 1857 Cesare Cantù così descriveva l'opificio, fondato dal conte Paolo Monti Melzi, passato nell'Ottocento alla ditta Maglia & Pigna ed entrato nel 1868 a far parte del gruppo Ambrogio Binda, proprietario della celebre cartiera di Conca Fallata a Milano. La sua storia è accompagnata dal nome di diversi proprietari e direttori che, trasformando gli impianti, modernizzando le strutture, impostando con nuovi criteri le strategie produttive, seppur tra alti e bassi hanno permesso alla cartiera di rimanere attiva fino all'anno 2009. Lo stabilimento, prima della chiusura, faceva capo al gruppo Munksjo Paper Decor Italia, uno dei primi gruppi italiani del settore cartario, la cui sede centrale è a Besozzo, in provincia di Varese.



Storia della Carta


Una delle esigenze fondamentali dell’uomo, fin dall’epoca preistorica, è quella di poter fermare le immagini, le parole ed i pensieri e poterli condividere senza limitazioni di tempo o di distanza.
Ma dove fermare disegni, geroglifici e scrittura?
La prima soluzione la trovarono i Caldei della Mesopotamia, nell’attuale Iraq. Fabbricarono delle tavolette d’argilla e, mentre erano ancora molli, vi incidevano dei segni a forma di cuneo, di modo che, una volta cotte, rimanessero inalterate nel tempo. Gli antichi egizi, secoli dopo svilupparono un’altra tecnica, forse più geniale. Si accorsero l’interno di una particolare pianta palustre, il Papiro, era composto da strisce di materiale morbido, liscio e resistente, sul quale, con inchiostri vegetali e minerali, si potevano fare piccoli disegni o segni grafici. Le incollarono insieme e nacquero così i fogli. Il procedimento era lungo e costoso e l’offerta di prodotto scarsa, ma era comunque un notevole passo avanti. E’ poco noto che, nell’America dei Maya un procedimento analogo utilizzava una pianta di nome Amate. Questa tecnica ebbe grandissima fortuna, tanto che ancora oggi, nella maggioranza delle lingue il supporto alla scrittura ne porta ancora il nome (in inglese paper, in francese papier, in tedesco papier, in russo papiri, in spagnolo papel, ecc.) e si diffuse in tutto il mondo mediterraneo. Questo progenitore della carta ha permesso la diffusione nel mondo classico del pensiero greco romano, della letteratura, filosofia storia e matematica. Altre tecniche ebbero meno fortuna, per il loro elevato costo, come la pergamena che consiste in una pelle di pecora conciata o le tavolette metalliche incerate usate dai romani. In Cina, nell’anno 105 d.c., un importante personaggio della corte imperiale Ts’ai Lun, fece un’acuta osservazione ed ebbe la giusta intuizione per risolvere il problema. Seduto sui bordi di un ruscello guardava una donna che faceva il bucato. Qualche metro più a valle, in un’ansa, sulla superficie si era formato un sottile strato di fibre perse dai panni. Provò a toccarlo ma subito il movimento dell’acqua disunì le fibre, poi pensò di sollevarlo con una reticella molto stretta e la fibre rimasero unite. Fece seccare al sole questo strato e ne venne fuori un piccolo foglio, liscio, morbido, resistente e candido. Perché accadeva? Le piante sono composte di vari elementi, uno dei quali, la cellulosa, è composto da fibre morbide, elastiche e resistenti. Attraverso il processo di filatura e di tessitura queste fibre (cotone, lino, canapa, juta, ecc) diventano tessuti ma, quando sono troppo corte per essere filate, hanno un’altra caratteristica, cioè possono feltrare naturalmente agganciandosi l’una all’altra. Bastava accelerare il processo di sfilacciamento dei tessuti con dei mortai per ridurli ad una poltiglia e sollevarli con delle reticelle. L’imperatore Ho Ti, felice dell’invenzione che consentiva di produrre fogli di carta (come noi la chiamiamo; dal latino charta che significava foglio) in grande quantità ed a costi molti contenuti rispetto al papiro egiziano, lo ricoprì di onori e volle che la tecnica fosse insegnata a tanti artigiani, ma che fosse mantenuto il segreto e non uscisse dai confini della Cina, pena, come usava allora, la morte. Nei paesi vicini furono tentate delle imitazioni, alcune delle quali sopravvivono ancora oggi. In Thailandia usando l’interno della corteccia del gelso, costituito di cellulosa pura e in Tibet con un arbusto locale, il Lokta, mentre il Giappone si usarono pianticelle locali. Nel 751 d.c., al tempo dell’espansione araba dopo la morte di Maometto, i musulmani strapparono ai cinesi le città dell’Asia centrale. Sbalorditi dalla tecnica la misero subito in pratica diffondendola nella parte del mondo che dominavano e che comprendeva, oltre al Medio Oriente, il nord Africa, la Sicilia e la Spagna. Cinque secoli dopo i mercanti italiani che commerciavano con gli arabi, riuscirono ad apprendere i segreti di lavorazione attraverso Costantinopoli e li portarono in Italia, ad Amalfi ed a Fabriano. La tecnica nei secoli era cambiata. Uno di questi è la filigrana, che è stata inventata proprio a Fabriano. Se sulla reticella che solleva lo stato di fibre si cuce un pezzetto di metallo, tutti i fogli prodotti ne verranno “marcati”, sempre uguali e nella stessa posizione. Ciò perché nel punto dove è cucito il pezzo di metallo si deposita meno pasta, e quindi la carta è più sottile e trasparente. La filigrana, nata come marchio che attestava la provenienza e la qualità del foglio, col tempo divenne un decoro ornamentale e un sigillo di garanzia, che potete vedere ancora oggi nelle banconote e nelle carte valori che sono tutte filigranate per impedirne la contraffazione. Il segreto della tecnica delle filigrane veniva gelosamente custodito dai fabrianesi e nessun artigiano poteva espatriare, pena, manco a dirlo, la morte. Il monopolio italiano durò alcuni secoli, poi nel ‘400 le cartiere si diffusero in tutta Europa fino nei paesi scandinavi ed in Russia e passarono l’oceano limitandosi però al Nord America. Venivano sempre costruite in vicinanza di corsi d’acqua per due ragioni: Innanzitutto perché per ogni chilogrammo di carte ne sono necessari dai 50 ai 150 litri e poi perché l’unica forza motrice che azionasse i pesanti magli sfilacciatori era quella idraulica. Spesso erano vicino ai porti, dove più abbondante era la disponibilità degli stracci di cotone, lino ecc, e dei cordami usati di canapa e juta, materie prime allora insostituibili. Alla fine del ‘600 gli olandesi, nonostante la loro terra pullulasse di mulini, svilupparono un’altra invenzione. Al posto dei magli pesanti e poco funzionali, inventarono una macchina che da loro prese il nome, il raffinatore “olandese”. Questa macchina è costituita da una vasca oblunga parzialmente divisa a metà da un setto. Su uno dei lati è montata una ruota con decine di lame e sotto di essa, sul fondo della vasca, ci sono altre lame taglienti dette “platina”. Ruotando su se stessa ed avvicinandosi alla platina la ruota ha l’effetto forbice sulle fibre sospese nell’acqua che circolano nella raffinatrice spinte dal moto della ruota, accorciandosi a poco a poco ad ogni passaggio. La forza motrice allora era data da una ruota da mulino, come nei magli, ed oggi è sostituita da un motore elettrico. Nel 1798, ad opera di L.N. Robert, fu costruita la prima macchina da carta, che rivoluzionò completamente il sistema di fabbricazione, perché produceva una striscia continua di carta prodotta da un tamburo ricoperto da una rete metallica che ruotava in una vasca dove era in sospensione le fibre vegetali tagliuzzate. Il foglio continuo passava poi tra dei cilindri caldi per essere pressato ed asciugato. La diffusione di queste macchine fu lenta, in Italia nel 1850 ne esistevano solo due, ma inesorabilmente soppiantò, per l’indubbio abbassamento dei costi, la carta a mano tradizionale.  Poi nell’800 fu scoperto un procedimento chimico che permetteva di estrarre la cellulosa direttamente dal legno degli alberi e la produzione fu ulteriormente incrementata. Oggi la carta è prodotta, in tutto il mondo, da immense macchine continue, lunghe centinaia di metri e velocissime. Le più moderne creano un foglio largo 10 metri alla velocità di 2000 metri al minuto! Ma questa è un’altra storia.


FONTI: Navigli.it                                                                           http://www.cartaamanonelleande.org/it/paper-and-history                                                                                                                                                                                                 
                            

venerdì 7 giugno 2013

l'acqua e il riso


L’acqua e il riso
Il riso era una coltura non molto presente nel territorio italiano, ma con il passare degli anni cominciò a sostituire gli altri tipi di colture fino a diventare la monocoltura tipica per eccellenza nella zona nord-ovest d’Italia il terreno per la coltura del riso (risaia) è perfettamente livellato, diviso in vasche molto basse, dette camere, mediante piccoli argini di terra alti 30-40 cm. Le camere vengono allagate dopo la semina nel caso di semine in asciutta come fossero bagnature, e nella maggior parte dei casi alle sommersioni delle camere, segue nel giro di pochi giorni la semina. Coltivare il riso nell’acqua comporta alcuni vantaggi: l’acqua  trasporta nella risaia molte sostanze nutritive dall’esterno e grazie a questo si può ottenere un raccolto maggiore del 50% rispetto a una risaia concimata.
Contrariamente al riso, le altre piante non si trovano a loro agio nell’acqua e questo limita drasticamente la proliferazione di piante indesiderate nelle risaie. Le coltivazioni senza acqua hanno bisogno di cicli di riposo o cambiare il tipo di colture per non impoverire il terreno, viceversa quelle immerse nell’acqua non necessitano di questa condizione e gli appezzamenti di terreno utilizzati come risaie, proprio grazie all’acqua, possono essere riutilizzati ogni anno e sempre dal riso senza alcun cambio di coltura.
L’acqua raccoglie il calore di giorno e lo cede durante la notte, mantenendo la temperatura costante a difesa dei semi e delle giovani piante. L’acqua delle risaie non deve essere stagnante ed è necessario un ricambio d’acqua corrente per non impoverirsi d’ossigeno, vitale per la vita delle piante, per questo le camere sono poste a livelli differenti e l’acqua immessa da un canale (cavo irrigatorio) in quello inferiore scorre verso quelli inferiori fino ad un altro canale detto colatore.

Bibliografia:
Wikipedia